Prima Dichiarazione di sostenibilità conforme alla CSRD

I risultati dell’Osservatorio Ca’ Foscari - BDO:

  • I report delle società italiane risultano in media più estesi rispetto a quelli delle aziende europee (144 pagine contro 111) con un numero maggiore di IRO rilevanti (49 contro 37)
  • La percezione di elevata complessità causa un ampio ricorso alle deroghe: in media sono stati omessi 5 requisiti informativi, soprattutto relativi agli effetti finanziari attesi dai rischi di sostenibilità
  • Forza lavoro propria e climate change i temi cardini delle prime Dichiarazioni di Sostenibilità
  • Solo il 24% delle aziende italiane ha dichiarato la formale adozione di un piano di transizione climatica, a fronte del 76% delle società europee e solamente il 7% ha un obiettivo Net-Zero

Nel 2025 le grandi società quotate con più di 500 dipendenti hanno pubblicato, all’interno dei propri bilanci, la prima Dichiarazione di Sostenibilità conforme alla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e ai nuovi principi di rendicontazione europei (ESRS). 

Il Sustainability Lab della Venice School of Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia e BDO Italia hanno istituito un Osservatorio di ricerca dedicato ai report CSRD per offrire un quadro sistematico sugli effetti della nuova normativa. 

L’Osservatorio ha analizzato le Dichiarazioni di Sostenibilità di 131 società italiane con azioni ordinarie quotate su Euronext Milan (EXM) e di 159 società europee incluse nello STOXX Europe 600, appartenenti a Paesi Membri dell’UE che hanno recepito la CSRD (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia, Polonia e Svezia).

«L’Osservatorio si propone come un punto di riferimento essenziale che mette in dialogo mondo accademico e pratica operativa, permettendo di analizzare in che modo la CSRD e gli ESRS influenzino i processi di rendicontazione delle aziende e, più in generale, la transizione sostenibile dell’economia. Con questa ricerca vogliamo fornire un apporto rilevante non solo alle imprese e ai loro stakeholder, ma anche a standard setter e policymaker, impegnati a rendere la normativa più chiara ed efficace» afferma la Prof.ssa Chiara Mio, Direttrice del Sustainability Lab della Venice School of Management.

«I risultati confermano il trend che osserviamo sul mercato,» commentano la Dott.ssa Valeria Fazio, Partner Sustainable Innovation BDO Italia e il Dott. Stefano Bianchi Partner Audit & Assurance BDO. «Nella storia evolutiva della sostenibilità degli ultimi trent’anni, non è difficile imbattersi in continue accelerazioni e decelerazioni. La domanda vera da farsi per un’impresa - di fronte ad un cambio di paradigma qual è quello che stiamo vivendo - è quanto sia giusto approcciare la CSRD come un mero esercizio di compliance normativa o piuttosto investire nella sostenibilità quale strumento per interpretare i cambiamenti del contesto esterno e tradurli in innovazione organizzativa, di prodotto e di processo. L’osservazione del mercato ci dice che questo secondo passaggio molte imprese - grazie alla CSRD e nonostante tutti i suoi eccessi - stanno cominciando a farlo».

«La direttiva CSRD segna una svolta culturale prima ancora che normativa. I commercialisti sono chiamati a svolgere un ruolo decisivo nel tradurre la sostenibilità da obbligo formale a leva di valore per le imprese», sottolinea Massimo Da Re, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia. «La nostra competenza economico-contabile, unita a un approccio etico e sistemico, può garantire che i nuovi standard di rendicontazione diventino strumenti di trasparenza e di crescita, non semplici adempimenti. È una sfida che richiede aggiornamento continuo, ma anche collaborazione con università e imprese: solo unendo saperi e responsabilità potremo accompagnare le aziende in una transizione sostenibile autentica e credibile.»

Tra le maggiori evidenze emerse dal lavoro di analisi dell’Osservatorio troviamo:

  • Report standardizzati ma molto lunghi, Italia più informativa dell’Europa. 

Le Dichiarazioni di Sostenibilità rispettano la struttura prevista dagli standard ESRS, garantendo standardizzazione e comparabilità, ma riducendo la personalizzazione e l’efficacia comunicativa della rendicontazione. I report delle società italiane risultano in media più estesi rispetto a quelli delle controparti europee (144 pagine contro 111) con un numero maggiore di IRO rilevanti (49 contro 37). La grande mole di dati rischia di compromettere l’efficacia dei report, rendendoli meno focalizzati, ridondanti e dispersivi, avvallando gli attuali tentativi di semplificazione degli ESRS. 

  •  Ampio ricorso alle deroghe e integrazione limitata con altri standard

La percezione di elevata complessità e onerosità della rendicontazione ha spinto molte società a privilegiare, dove possibile, soluzioni semplificate. Le imprese hanno fatto ampio utilizzo delle possibilità di omissione di alcune informazioni previste dalle misure transitorie (phase-in). In media, sono stati omessi 5 requisiti informativi, con tassi di omissione prossimi al 100% per le informative relative agli effetti finanziari attesi dai rischi di sostenibilità. Inoltre, risulta limitato l’utilizzo di altri standard di rendicontazione, soprattutto tra le imprese italiane: ad esempio, solo il 9% continua ad utilizzare anche i GRI Standards.

  • Sostenibilità: più una sfida che un’opportunità

Dall’analisi dei report emerge che la sostenibilità tende ad essere percepita più come un insieme di sfide che di opportunità. Dal processo di doppia materialità – probabilmente la novità più significativa introdotta dalla CSRD – emerge una predominanza di impatti negativi (16) rispetto a quelli positivi (12 per le aziende italiane e 8 per quelle europee). Analogamente, i rischi (16 per le italiane e 15 per le europee) superano le opportunità (8 per le italiane e 7 per le europee) connesse alla sostenibilità. 

  • Quantificazione finanziaria ancora incompiuta

Ad eccezione di pochissimi casi, né le imprese italiane né quelle europee hanno fornito una quantificazione degli effetti finanziari attesi dai rischi e dalle opportunità connessi alla sostenibilità. Lo sviluppo di metodologie condivise e riconosciute richiederà tempo, e questa carenza rende attualmente difficile la riconciliazione dei dati di sostenibilità con il bilancio.

  • Forza lavoro propria e climate change i temi cardini 

Due temi emergono come assi portanti delle prime Dichiarazioni di Sostenibilità, sia per le società italiane sia per quelle europee. Tutte le imprese dedicano ampio spazio ai cambiamenti climatici - con particolare attenzione alla mitigazione, all’adattamento e all’uso dell’energia - e ai propri dipendenti, soprattutto con riferimento alle condizioni lavorative e alle pari opportunità. 

  • Mitigazione del climate change: un percorso ancora all’inizio, soprattutto per le società italiane

Sebbene tutte le imprese riconoscano gli impatti sui cambiamenti climatici, gli sforzi di mitigazione sono ancora limitati, soprattutto per le società italiane. Solo il 24% ha dichiarato la formale adozione di un piano di transizione climatica, a fronte del 76% delle società europee. Anche nella definizione degli obiettivi climatici l’Italia appare più indietro rispetto alle controparti europee: solo il 7% delle italiane ha un obiettivo Net-Zero validato dalla Science Based Target Initiative (a fronte del 27% delle europee), mentre il 19% ha ottenuto la validazione dei propri obiettivi short term (a fronte del 69% delle europee). Dall’altra parte, il 63% delle società italiane include obiettivi inerenti al climate change nei sistemi di incentivazione del CdA.

  • Assurance in linea con le aspettative

Si conferma il ruolo del revisore della sostenibilità: applicando il modello della limited assurance e i principi di attestazione nazionali emanati dai singoli Stati (come lo SSAE Italia), il revisore ha verificato e attestato la conformità delle Dichiarazioni di Sostenibilità alla normativa, rilasciando nella quasi totalità dei casi una conclusione senza modifica. Molto limitato il ricorso alla reasonable assurance per specifici indicatori 6% delle europee e 1% delle italiane.