Nel 2024 l’obbligo di comunicazione sulla sostenibilità si estenderà a 4.000 società italiane

Intervista a Carlo Luison, Partner Sustainable Innovation di BDO Italia, su milanofinanza.it QUI

20 volte di più in soli 3 anni, ha detto a milanofinanza.it Carlo Luison, Partner Sustainable Innovation Leader di BDO Italia, che in questo momento vede prevalere una maggiore attenzione sulla “E” di environment perché il cambiamento climatico è una questione da affrontare con urgenza. Il legislatore europeo con il Green Deal ha impresso un'accelerazione fortissima

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La rendicontazione non finanziaria è una nuova frontiera ed è, senza dubbio, quella che sta avendo in questi anni l’accelerazione più forte, spinta dalla domanda di informazioni da parte degli operatori del mercato (clienti e finanziatori in primis) e, al contempo, da normative molto precise che, nel caso europeo, superano e perfino anticipano le indicazioni dei più autorevoli standard setter.

Le grandi società italiane hanno risposto all’obbligo della rendicontazione non finanziaria derivante dalla direttiva 2014/95/EU31 chiamata anche Non-Financial Reporting Directive (NFRD) senza particolari difficoltà: molte organizzazioni, solidamente fondate nella cultura dell’aziendalismo italiano, contengono nel loro Dna l’orientamento strategico alla sostenibilità e sono state in grado di rendicontarlo applicando i principi di accountability già da tempo praticati e diffusi tra i professionisti italiani.

Il fatto di rendicontare le informazioni non finanziarie in modo più strutturato ha permesso al management di molte grandi organizzazioni di comprendere meglio la profonda interrelazione e connessione di queste performance con quelle finanziarie e ha, di conseguenza, migliorato la consapevolezza che una gestione integrata può dare e pone le condizioni di comprendere la creazione di valore sostenibile: nel breve, medio e lungo termine.

La misurabilità dei fattori ESG diventa fondamentale per poter valutare i rischi e le opportunità sottostanti ad un investimento. È necessario rendicontare in modo completo e attendibile le performance per capire se la gestione va nella giusta direzione. Senza informazioni non finanziarie, tutto questo non può avvenire. Ma il grande paradosso oggi, sta nella non-disponibilità di queste informazioni: mentre le grandi imprese (costrette o meno da investitori e dalla normativa) hanno già avviato processi avanzati di accounting e accountability in grado di rendicontare e comunicare dati e informazioni ESG sempre più sofisticati, le Pmi sono ancora molto lontane da una diffusa e consapevole rendicontazione non finanziaria e – ciononostante - la rivoluzione del “non financial reporting” le raggiungerà presto.

Il 21 aprile la Commissione europea ha pubblicato la proposta di modifica della Dichiarazione non finanziaria (Dnf) detta anche CSRD (corporate sustainability reporting directive), introducendo una doppia estensione dell’obbligo che vedrà aumentare significativamente il numero delle aziende tenute a pubblicare la Dnf dalle attuali 10.000 circa a 50.000 circa. Le nuove norme dovrebbero entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2023 (per le Pmi il periodo transitorio arriverebbe fino al 1° gennaio 2026).

Due le principali estensioni: la prima, relativa alle aziende non quotate: anche le grandi aziende fuori dai mercati regolamentati dovranno fornire informazioni legate ai parametri ESG; anche se al momento ancora non è chiaro quale sarà la soglia del numero dipendenti (o di fatturato) per entrare in tale categoria. La seconda estensione riguarda, invece, le aziende quotate per le quali cade la soglia dei 500 dipendenti: sia le grandi che le piccole (indipendentemente dalla dimensione della azienda, tutte le società con strumenti negoziati su mercati regolamentati) dovranno pubblicare il rendiconto sostenibile. Sono escluse solo le “microimprese” e le aziende scambiate sui sistemi di negoziazione multilaterale (Mtf); come ad esempio l’Aim Italia. Milanofinanza.it ha intervistato in merito Carlo Luison (nella foto), Partner Sustainable Innovation Leader di BDO Italia.

 

Quali sono le aree di interesse che la rendicontazione non finanziaria deve toccare?

“Environmental, Social and Governance”: sembra un mantra ma sono le 3 aree di interesse che oggi vengono maggiormente indicate con l’acronimo “ESG” per rappresentare in modo sintetico proprio la tipologia di informazioni non finanziarie più richieste dal mondo finanziario e più attenzionate dalle Istituzioni e dai media. Di conseguenza, sono le stesse aree di interesse che la rendicontazione non finanziaria deve oggi non solamente considerare ma soprattutto misurare e processare secondo standard di accounting e di accountability sempre più avanzati, completi e integrati. Non a caso, è dell’11 settembre 2020 l’annuncio da parte dei principali standard setter della rendicontazione non finanziaria di creare una coalizione e partnership globale per trovare una maggiore convergenza e principi contabili comuni.

Ancora più importante è l’intervento della Fondazione IFRS che, proprio a fine 2020, chiede, con una consultazione pubblica, di capire il proprio ruolo in questa fase storica di intensa accelerazione e bisogno di chiarezza e coerenza per la rendicontazione non finanziaria. Ma è soprattutto la proposta della Corporate Sustainability Reporting Directive del 21 aprile 2021 (CSRD), che estende l’obbligo di comunicazione societaria sulla sostenibilità (DNF-Dichiarazioni di carattere non finanziario) a un numero di aziende più ampio. Tale estensione del perimetro riguarda tutte le grandi società (imprese con più di 250 dipendenti) e a tutte le società quotate in mercati regolamentati (sono comprese le Pmi quotate mentre sono escluse solo le microimprese quotate). In questo modo, la proposta includerebbe circa 49.000 aziende europee (corrispondenti al 75% del fatturato totale delle società a responsabilità limitata), rispetto alle 11.600 già interessate (47% del fatturato totale). Se oggi sono circa 200 società italiane che troviamo tra quelle obbligate nell’elenco Consob queste diverranno nel 2024 circa 4.000: 20 volte di più in soli 3 anni.

 

Qualche area è più importante di un'altra? 

In questo momento prevale una maggiore attenzione sulla “E” di “environment”, per una serie di motivi condivisibili e molto concreti: il cambiamento climatico è diventata una questione da affrontare con urgenza;  il legislatore europeo con il “Green Deal” punta alla decarbonizzazione totale entro il 2050; è luogo comune (non corretto) associare la sostenibilità agli aspetti ambientali; inoltre: bisogna pur cominciare da una delle dimensioni per poi approfondire le altre. Ma tutti coloro che si occupano seriamente di sostenibilità sanno che non c’è una dimensione più importante di un’altra. Sono tutte importanti allo stesso modo e sono interconnesse tra loro in modo indissolubile; perché la ricerca della sostenibilità consiste proprio nell’equilibrio dinamico tra le diverse aree, tra loro intrinsecamente collegate. Lo stesso legislatore europeo ne è ben consapevole ed ha già annunciato che la cosiddetta “Taxonomy” (Regolamento 852/2020 al momento focalizzato sulla dimensione ambientale) verrà presto integrata da apposite indicazioni di questioni sociali (S) e di governance (G).

 

È necessario elencare anche i rischi legati all’attività svolta? 

Soprattutto i rischi vanno identificati ed elencati: sono l’oggetto principale di attenzione e il cuore della trasformazione in atto. Anche perché, tutta l’attività imprenditoriale si basa sulla gestione responsabile dei rischi e sulla consapevolezza che una corretta identificazione e misurazione degli stessi consente di ridurre gli impatti negativi e massimizzare quelli positivi: economici, sociali, ambientali ed etici (legati alla governance). È necessario identificare e misurare i fattori di rischio ESG per poter valutare meglio conseguenze negative e opportunità ad essi sottostanti e, di conseguenza, comprendere meglio le scelte (e le mancate scelte) legate a ciascun investimento. Individuare in modo completo e attendibile i rischi ESG significa considerare sia gli impatti diretti (rischi fisici) sia quelli indiretti (rischi di transizione) legati alla crescente normativa ESG, alle preferenze dei consumatori, alle innovazioni tecnologiche e alle prevedibili implicazioni dei mercati.

Un fattore senza dubbio da sottolineare è l’esortazione dell’Esecutivo Ue alle piccole e medie aziende di elaborare in ogni caso una rendicontazione non finanziaria dei fattori ESG, perché potrebbero trovarsi a rischio di esclusione dai portafogli di investimento, un rischio che aumenterà man mano che le informazioni sulla sostenibilità diventeranno sempre più importanti in tutto il sistema finanziario in Europa come a livello globale. In realtà, potrebbero trovarsi oggi anche senza prestiti e finanziamenti, perché tutti gli istituti di credito e gli intermediari finanziari stanno introducendo e integrando i fattori ESG nella valutazione del rischio di credito cosicché le società non sostenibili potrebbero trovarsi presto con un costo del denaro molto più alto e addirittura private dell’accesso al credito.

 

Quattro validi motivi per cui oggi un’azienda dovrebbe produrre questa documentazione?

Quattro sono pochi per cui vado per priorità: per rispondere alle richieste dei clienti, per mantenere l’accesso a finanziamenti e credito e ridurre il costo del denaro, per acquisire e trattenere i migliori talenti, per essere dei leader trasformativi alimentando bene la reputazione, ma ce ne sono davvero moltissimi altri (come la compliance) che possono essere indicati.

 

Non sono mancate novità a livello normativo, ma non le sembra che manchino passi importanti per velocizzare il processo?

Il legislatore europeo con il Green Deal ha impresso un’accelerazione fortissima: oltre ogni aspettativa. Mi auguro francamente che la velocità non aumenti. Siccome, però, tutte le leggi vanno a normare dei comportamenti complessi e integrati che hanno mille implicazioni e sfaccettature, è evidente che ogni proposta rischia di sembrare parziale, manchevole o addirittura poco coerente. Ma la realtà è che il disegno del legislatore europeo, nel suo complesso, è molto chiaro e condivisibile: diventare la prima economia al mondo “carbon neutral”. Un disegno che i singoli Stati rischiano, nel breve termine, di disattendere in parte (per alcune logiche provinciali ed equilibri di parte) ma che, alla fine, nel medio lungo termine, produrrà una trasformazione epocale del vecchio continente. La velocità, dunque, è già molto sostenuta e, tra gli operatori e cultori della materia, lamentiamo invece una carenza di competenze e di conoscenza professionale adeguata: molto spesso anche il legislatore si trova a dover rettificare ed aggiustare il tiro ammettendo qualche imprecisione. Il cambiamento normativo è, a mio avviso, già molto rapido e sostenuto: tutto quello che per oltre venti anni abbiamo svolto in modo volontario (voluntary) sta oggi progressivamente diventando obbligatorio (mandatory). Le lacune, ovviamente, ci sono e verranno progressivamente colmate dalle Istituzioni appositamente delegate; così come, in alcuni casi, le norme stanno anticipando i comportamenti virtuosi e costringono così i cittadini e le imprese ad accelerare la transizione in atto.

 

Non crede sia arrivato il momento di allargare l’obbligo anche all’Aim Italia o alle microimprese? 

Le imprese e microimprese, in realtà, sono già sotto la pressione ESG del mercato: non serve un legislatore a far capire loro che devono fornire informazioni non finanziarie legate ai fattori ESG. Ci pensa la banca, l’assicurazione, il fondo, il cliente e il buyer. A maggior ragione per le imprese del mercato Aim, che noi di BDO conosciamo bene e frequentiamo con attenzione: sanno benissimo che la gestione della sostenibilità è un driver di competitività e di successo senza il quale non possono nemmeno pensare di esistere. Anche per le aziende Aim, in ogni caso, si tratta del “quando” e non del “se”: arriverà comunque l’obbligo anche per loro. È già previsto nella road map dell’Unione Europea per raggiungere la carbon neutrality e sono già molto le società quotate all’Aim che hanno intrapreso un percorso di rendicontazione e gestione della sostenibilità molto autorevole. Molte altre si stanno poi attrezzando per avviare il processo di rendicontazione non finanziaria già nell’esercizio 2021. Per questa volta l’Italia non può dirsi in ritardo. (riproduzione riservata).

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